E’ questa la storia di una mamma licenziata, perché perde i requisiti psicofisici per fare il suo lavoro da autista. Non è accaduta a Chiusi ma ad Arezzo, l’azienda è la Tiemme, la stessa che svolge il servizio anche da queste parti e la storia merita di essere conosciuta perchè parla da vicino a tutte le donne e a tutti i lavoratori che per qualche ragione, presto o tardi, diventano inidonei alla mansione. La crisi impone a tutti di risparmiare ma non sermbra questo il modo più corretto. Anche dove il sindacato è debole non pare accettabile una ingiustizia del genere.

La lettera aperta che pubblichiamo è quella spedita da Dante de Angelis, il rappresentante del personale alla sicurezza delle Ferrovie dello Stato che fu licenziato e poi riassunto su sentenza della magistratura, per aver denunciato problemi di sicurezza sugli eurostar.

Ai presidenti, della Regione Toscana Enrico Rossi, della provincia di Arezzo Roberto Vasai e al Sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani

Gentili Presidenti ed egregio Sindaco,

nella mia attività di Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e portavoce della rivista dei macchinisti, “ancora in marcia”, sono venuto a conoscenza di quella che ritengo una profonda ingiustizia ai danni di una mamma lavoratrice, autista di autobus, dipendente della Tiemme spa, azienda di trasporto pubblico con sede ad Arezzo, che potrebbe riproporsi per tutti i lavoratori del settore.

Alla visita sanitaria propedeutica per il rientro al lavoro, dopo due gravidanze ed alcuni anni di assenza per “aspettativa”, le è stato riscontrato un abbassamento della vista tale da mantenere i requisiti solo per la patente “B” ma non quelli  per la patente “D” pubblica.

Per questo, nei giorni scorsi, l’azienda le ha notificato un avviso di esonero definitivo dal lavoro, cioè un licenziamento, a firma del direttore, Piero Sassoli, perché “non esistono in azienda posti disponibili in azienda prospettabili per una Sua eventuale ricollocazione” anche alla luce dei “forti tagli del servizio e del personale necessario”.

Come certamente saprete, la Tiemme Spa è una grande azienda di proprietà pubblica, frutto della recente fusione delle quattro società di trasporto locale di Arezzo, Piombino, Siena e Grosseto, che vanta di collocarsi “tra le prime dieci realtà italiane del trasporto pubblico con oltre 1.150 addetti complessivi e un fatturato di circa 90 milioni di euro” ed effettua attività di noleggio, servizi scuolabus e navetta, manutenzione parco veicoli, gestione officine, manutenzioni esterne, attività amministrative, acquisti, gestione personale, contabilità, ecc…
Appare del tutto inverosimile che in una azienda di tali dimensioni non sia possibile ricollocare adeguatamente, una lavoratrice-madre che perde i particolari requisiti psicofisici richiesti per guidare gli autobus, così come previsto dalla legge e dal Contratto di lavoro, per chi diviene inidoneo alla mansione.
Così come appare paradossale che in una grande impresa, di proprietà pubblica e soggetta al controllo delle Istituzioni locali, le leggi sulla idoneità, poste a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori divenuti inidonei, possano essere ribaltate per licenziarli: se per scelta aziendale viene espulsa in questo modo una mamma con due bambini piccoli, in futuro per tutti gli autisti sarà lo stesso.
Pur condividendo la necessità, sottolineata dall’azienda, di ridurre i costi a seguito dei noti tagli di risorse effettuati dal Governo, risulterebbe profondamente ingiusto attuare misure discriminatorie, che coinvolgono i soggetti più deboli e mortificano la dignità di una lavoratrice-madre: si potrebbe iniziare, nel caso, dalla razionalizzazione della struttura dirigenziale e dei consigli di amministrazione sopravvissuti alla fusione.
Parallelamente alla lettera di licenziamento le è stato offerta come opzione obbligata, una concessione ad personam, la ricollocazione in una azienda diversa, con demansionamento e fuoriuscita dal Contratto Nazionale Autoferro. Tale proposta rappresenterebbe la negazione delle leggi poste a tutela dei lavoratori in generale ed una pesante umiliazione della donna che rientra al lavoro dopo la maternità.
Certo della sensibilità al tema, chiedo, nell’ambito delle rispettive prerogative istituzionali un Vostro cortese interessamento.
17 febbraio 2011                                                   
Dante De Angelis