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Il bambino che non sa più giocare
Interessante iniziativa quella organizzata dall’istituto comprensivo Graziano da Chiusi, presso la scuola media venerdì sera.
Sono stati chiamati a parlare dei giochi di ieri e di oggi il pediatra Paolo Sarti e Giuseppe Sparnacci, psicologo. I due collaborano ormai da anni. Sono, fra l’altro, autori di un fortunato libro “Gravidanza e puericultura” pubblicato una decina di anni fa, con una fortunata seconda edizione, poi tradotta in sei lingue.
La presentazione è stata molto interessante e ben strutturata. I due studiosi si sono alternati spiegando dal proprio punto di vista i cambiamenti importanti che hanno drasticamente cambiato il modo di giocare dei bambini. Sarti e Sparnacci, evitando toni apocalittici ci hanno fatto riflettere su un quadro non certo rassicurante.
I vecchi giochi erano meno strutturati e costringevano i bambini a costruirsi le regole e acquistare così capacità di auto-organizzazione. La mancanza del ”costruirsi” il proprio gioco (bello il confronto fra la tenda indiana auto-costruita con scatole di cartone e quelle eleganti preconfezionate) ha progressivamente fatto perdere abilità pratiche importanti.
I videogiochi, se da una parte fanno maturare abilità come la velocità di risposta a stimoli improvvisi, dall’altra isolano il bambino. E’ proprio sull’organizzazione del tempo e dello spazio del bambino che i due relatori hanno puntato il dito. Un bambino inscatolato in tempi fissi (palestra, piscina, danza, etc.) e soprattutto sempre sotto il controllo degli adulti. Un comportamento sbagliato che mette il bambino continuamente al centro dell’attenzione dandogli una falsa sensazione di onnipotenza. Insomma il messaggio centrale è stato: fate in modo che possano organizzare i propri giochi senza troppe interferenze.
La conferenza ha poi dato luogo a un breve, ma interessante dibattito con domande e considerazioni di docenti e genitori.
Per chi scrive è stata una bella serata perché Beppe Sparnacci è un vecchio amico, che ha lasciato Chiusi da ragazzo nel 1957 e i suoi riferimenti al gioco da bambino nella “contrada” del Mar Nero ha sollecitato antiche memorie. Ricordo che quando lasciò Chiusi mi lasciò in eredità la sua scatola del Meccano, uno dei grandi vecchi giochi che non è più di moda.
Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo Scattoni il 21 febbraio 2011 alle 00:02, ed è archiviato come CULTURA, SCUOLA, SOCIALE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Sia i commenti sia i ping sono disattivati. |
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circa 13 anni fa
Mi fa piacere che la scuola di Chiusi si sia attivata organizzando un incontro su un tema che a me è sempre stato a cuore. Io vivo “di qua del fosso” come dite da queste parti, ma il tema del gioco mi ha sempre appassionato e credo che non abbiamo dato la giusta importanza alla perdita di un aspetto che secondo me ha molto a che fare con il diritto ad agire e vivere una cittadinanza attiva fin da piccoli. Quando venni a vivere qui – nel lontano 1993 da Torino – il e il mio compagno provammo a mettere in piedi alcune attività rivolte ai ragazzini del posto in collaborazione con il circolo Arci locale. Giochi che traevano spunto dall’educazione alla pace di Daniele Novara, o dai giochi cooperativistici del Gruppo Abele. E già in quell’occasione sperimentammo come i ragazzi non riuscissero a cooperare tra loro, come il gioco fosse già piuttosto individualizzato. E allora i giochi tecnologici non avevano ancora invaso il mercato. Sono disarmata quando vedo alcuni ragazzini estraniarsi persi nei game-boy, come se il mondo intorno non esistesse. Credo che dovremmo mettere in relazione la perdita della visibilità infantile e giovanile e quanto la loro presenza – quando riesce a superare gli ostacoli che frapponiamo sempre – sia sovente così ingombrante in questo panorama di città museo che abbiamo messo in piedi. Mi piacerebbe vedere più spesso ragazzini giocare a palla nelle strade dei centri storici e non soltanto nei giardinetti costruiti ad hoc. Mi piacerebbe sentire le loro grida nei vicoli, vederli litigare tra di loro, appassionarsi. senza la presenza ingombrante di noi adulti. Perchè il conflitto è sano se i ragazzi ci si possono misurare, senza venirne ingoiati o sopraffatti. Assumersi la responsabilita di essere genitori, e non abdicare sempre il ruolo che abbiamo scelto di avere dando continuamente la colpa alla scuola, all’allenatore o a qualsiasi altra figura, riflettendo sul fatto che siamo sopratutto noi i primi educatori. E chiederci sempre se stiamo agendo per il loro bene o per il nostro egoismo. Questo credo che sia il nostro primo dovere, come genitori e come cittadini responsabili.