di Luciano Fiorani

Capisco lo sconcerto di Simone Agostinelli, ma giudico l’accordo siglato, tra le due parti in lotta, un errore madornale. E’ apparso subito evidente che nel Pd non ci fossero giudizi unanimi sull’era Ceccobao e il primo e clamoroso segnale è venuto dai questionari.

Il popolo del Pd (iscritti, simpatizzanti, elettori) mandò un segnale forte: occorre discontinuità. Comunque lo si voglia interpretare (tranne nel modo bizzarro proposto da Marrucci) quel segnale era un evidente campanello d’allarme, sia perchè veniva da cittadini non certo ostili al Pd e sia, soprattutto, perchè faceva in qualche modo un bilancio impietoso di un’avventura amministrativa durata otto anni e che appena tre anni prima aveva raccolto uno strabiliante consenso elettorale, ben al di sopra del 70%.

Non è ora il caso di esaminare quel risultato, chiaramente drogato dalle particolari condizioni politiche e finanziarie di allora oltre che da un astensionismo record.

Insomma che non fossero tutte rose e fiori l’avevano capito e segnalato in tanti.

La manifestazione più eclatante di questo inatteso(?) stato di cose è stata l’aggregazione dei “16” che, come dice giustamente Agostinelli non era una corrente interna al Pd, ma la collocazione di più persone su posizioni di rinnovamento.

Questo fatto ha si creato, nella parte più conservatrice del partito, fastidio e scomposte reazioni ma ha anche acceso speranze che sono andate ben al di la del gruppo dirigente e hanno contagiato tanta parte della città. L’attenzione con cui è stata seguita questa guerra guerregiata muoveva da una speranza di rinnovamento più che dagli “scandali” di certi comportamenti e di certe prese di posizione.

L’epilogo, checchè ne possano pensare Agostinelli e i suoi compagni di viaggio, ha tradito quelle speranze e se, come sempre, la realpolitik ha avuto la meglio questa volta il bilancio non è accettabile.

Perchè non è solo il Pd ad aver bisogno di un radicale cambiamento ma tutta la città. Lo stato in cui versa il paese è sotto gli occhi di tutti, e per un rilancio da tutti ritenuto indispensabile e possibile, non basta un programma ragionevole e un sindaco di routine.

Servono entusiasmo, coraggio, idee forti e, naturalmente, persone che segnino anche fisicamente una discontinuità con quello che è stato fatto fino ad oggi. E serve soprattutto un confronto con la gente franco e a viso aperto, perchè senza coinvolgere i suoi abitanti questo paese non si risolleverà.

E’ sotto questo profilo che l’accordo raggiunto è completamente deludente, non solo e non tanto per il candidato a sindaco, ma perchè raggiunto nel peggior modo possibile: in quattro gatti e al chiuso delle stanze di partito.

L’ennesimo grido di Gisella Zazzaretta ci dice che le divisioni ci sono ancora, peseranno a lungo e segneranno la fase di ricostruzione che il Pd a Chiusi dovrà intraprendere. Ma è sul corpo della città che sono stai inferti i colpi più dannosi.

Non è credibile che a ridare slancio al paese siano quelle forze che lo hanno ridotto in questo stato, non è credibile che ci sarà partecipazione e coinvolgimento dei cittadini nella soluzione dei problemi se il Pd si è affidato, per designare un candidato, ai soliti vecchi e non più accettabili metodi partitici. I “16” non hanno avuto il coraggio di chiamare apertamente dalla loro parte i cittadini, le forze politiche e sociali e sono stati costretti ad un deleterio compromesso nella forma e nella sostanza. Hanno tradito le attese e hanno perso. Peccato.