di Paolo Fatichenti

Anche quest’anno è andata. Era l’edizione del trentennale, ed è ormai in archivio. Per noi del Granocchiaio organizzare la festa è stato duro: ha significato fare tardi tutte le sere per fare i panini, friggere, sparecchiare, o fare cocktail e mangiare ad orari assurdi. Malgrado tutto questo però è stata un’esperienza che io, come cameriere, rifarei non una ma cento volte, perché mi sono divertito anche a lavorare e ho rafforzato molte amicizie. Qualcuno mi ha detto, scherzando, che l’appartenenza alla contrada si misura con il numero di feste che hai organizzato. Forse è vero, perché un’esperienza così non la dimentichi più e ti resta stampata dentro, nella galleria dei ricordi migliori. Peccato che bisognerà aspettare altri cinque anni (sempre che la festa non venga fatta da tutte le contrade assieme, come vorrebbe qualcuno).

Ma forse è proprio il tempo che passa a rendere speciale ogni festa, perché dopo cinque anni ci si ritrova diversi, più “cresciuti” (o più “vecchi”, dipende dai punti di vista…) ed è proprio questo a rendere unica e speciale ogni festa. Questa nostra, in definitiva, è andata bene su tutti i fronti: sia al pub che al ristorante c’è sempre stata gente, la cucina ha retto anche quando l’affluenza è stata maggiore del previsto (grazie a tutte le donne che hanno lavorato non solo la sera fino a tardi, ma anche per interi pomeriggi!). I concerti e la serate danzanti hanno riunito ogni sera diverse presenze, per non parlare della gente che “L’ingegneria del sollazzo” ha intrattenuto con i suoi giochi semplici ma divertenti, nella serata in cui il clima ci ha assistiti di meno. E poi, naturalmente, la Conca. Anche quest’anno, come al solito, l’abbiamo portata a casa noi.