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Edilizia residenziale: la “festa” è finita
Il settore dell’edilizia residenziale sta mutando profondamente e questo mutamento tocca anche Chiusi. Un notaio vi potrebbe dire che ormai i rogiti sulle case sono ai minimi storici da quando ha iniziato a fare il suo mestiere. Si potrebbe ipotizzare che si tratta di un fenomeno transitorio dovuto alla crisi economica. In minima parte è sicuramente così, ma il fenomeno a mio parere è strutturale e ne dobbiamo tenere conto anche e soprattutto nella formazione dei piani urbanistici.
La grande attività edificatoria è sicuramente alle spalle, anche se assistiamo agli ultimi illusori tentativi di rilancio da parte di singoli operatori.
Il massiccio sviluppo edilizio ha visto la formazione di piccole e grandi ricchezze per proprietari di suoli urbani e imprese in un lungo periodo che va dalla metà degli anni ’50 sino a tutti gli anni ’80. Questo lungo periodo ha fatto credere che il processo fosse irreversibile. Il calo progressivo è stato via via attribuito a diverse cause; dalla complessità delle procedure per le autorizzazioni alla difficoltà di accesso al credito e così via.
In realtà si trattava della fine di un periodo dove la grande domanda era determinata da fattori diversi e convergenti: il deficit abitativo esistente nell’immediato dopoguerra, la massiccia crescita demografica, il cambiamento della dimensione media delle famiglie, il grande esodo dalle campagne verso i centri urbani e infine il fenomeno delle seconde case. Tutti questi fattori hanno ormai esaurito la loro spinta.
In questo momento stiamo vivendo una strana transizione perché ancora gli operatori si sentono in una situazione di attesa, soprattutto quelli che hanno acquisito i terreni ai vecchi prezzi di mercato e quelli che debbono piazzare le case già edificate e ancora da immettere sul mercato. Non è difficile individuare in questa condizione l’interesse a ritardare l’approvazione dei piani urbanistici per garantirsi un oligopolio locale che è però illusorio.
Chi a Chiusi si chiede perché si stia impiegando un così lungo tempo (dodici anni per il piano strutturale che deve ancora venire!) provi a spiegare la cosa con questa chiave di lettura
Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo Scattoni il 6 ottobre 2010 alle 00:01, ed è archiviato come ECONOMIA. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Sia i commenti sia i ping sono disattivati. |
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circa 14 anni fa
Il commento di Marco Lorenzoni necessita di quache precisazione:
1) C’è una variazione nella composizione della popolazione. L’invecchiamento continua, ma allo stesso tempo c’è una sostituzione con popolazione straniera che si aggira sul 13%. Più della metà di questi sono cittadini comunitari. Queste famiglie tendono comunque a modificare la struttura della popiolazione. probabilmente le due tendenza contrarie tendono ad annullarsi a vicenda. QUESTO SIGNIFICA CHE NON CI SARA’ AUMENTO DI DOMANDA DOVUTO ALL’AUMENTO DEL NUMERO DELLE FAMIGLIE A POPOLAZIONE PRATICAMENTE COSTANTE.
2) Non è stata anora fatta (o almeno a me non risulta) una ricerca sulle abitazione non occupate. Nel 2011 verrà effettuata in occasione delc ensimento, ma sarà troppo tardi per il dimensionamento del piano. In linea generale credo che l’impressione “a pelle” sia quella giusta: c’è una percentuale rilevante di abitazioni non occupate.
3) Esistono ampie aree produttive ormai dismesse che permetterebbero du soddisfare anche una nuova crescita della donanda (per altro assai improbabile).
4) Non c’è più alcuna posibilità di lucrare sulla cosiddetta rendita di attesa; quella che permetteva di togliere abitazioni dal mercato in attesa di più profittevoli situazioni di mercato. Oggi non vendere rappresenta una perdita secca. Chi investe nel mercato residenziale DEVE VENDERE TEMPESTIVAMENTE altrimenti ci rimette. Comportamenti diversi possono essere sostenuti soltanto da chi non abbia problemi di remunerazione dei capitali investiti.
Se tutto questo è vero, chi può influenzare il mercato attraverso la pianificazione urbanistica deve pensare in maniera radicalmente diversa dal passato.
per quanto poi riguarda l’edilizia non residenziale la discussione può trasferirisi a commento dell’articolo seguente di Luciano Fiorani sui cosiddetti “capannoni”.
circa 14 anni fa
Celentano nell’ormai lotanto 1966 si chiedeva “perché continuanoa costruire le case e non lasciano l’erba”…
Siccome le cose,a Chiusi, stanno esattamente come dici tu (fine dell’inurbamento dalle campagne – se mai adesso la domanda è al contrario – popolazione che non cresce, nonostante l’arrivo degli immigrati, consolidamento delle famiglie composte da una o due persone… ecc.) la domanda che si poneva il molleggiato nel ragazzo della via Gluck appare quanto mai attuale. Per chi e perché si costruisce ancora a Chiusi? Non esiste alcuna pressione demografica, anzi la gente, se può fa le valige e se ne va…
i centri abitati sono sempre più desolatamente disabitati…
Anche alcuni edifici di recente costruzione sono rimasti invenduti per anni… Il Piano avrebbe forse dovuto ratificare una volta per tutte questa situazione, certificando, come dici tu, che la festa è finita. Per mantenere invece l’illusione si continua a consumare territorio e a pianificare lottizzazioni sulle colline, svuotando sempre più i centri urbani… Il tutto per un mercato che non c’è. Mah. Sono strani questi chiusini, direbbe Asterix. E forse si spiega così l’interesse “pressante” dei pesci grossi dell’economia locale per le aree produttive (frigomacello e Querce al Pino, vedasi primapagina del 5 ottobre). Se non serve costruire case, facciamo capannoni!
La domanda però è: servono i capannoni, soprattutto a Querce al Pino?