di Maurizio Patrizi

Venerdì sera ho partecipato all’assemblea del PD, quella in cui sono stati illustrati i risultati emersi dal questionario “la città che voglio”. Era mia intenzione intervenire nel dibattito ma ho ritenuto poi ,di astenermi, dal momento che mi é sembrato di assistere ad un congresso di partito. Come altrimenti interpretare il contenuto del secondo intervento (Provvedi) con il quale tralasciando completamente l’introduzione, sono state chieste notizie circa i candidati a sindaco per le prossime elezioni amministrative e la risposta data dal terzo intervenuto (Agostinelli), il cui contenuto era, a mio avviso, completamente avulso dal contesto dell’introduzione fatta dal Giglioni. Ciò premesso non credo, però che sia stata una serata persa sia perchè altri interventi sono stati particolarmente efficaci ed anche perchè dai dati divulgati nell’occasione sono emersi aspetti importanti sui quali riflettere. Nel complesso, mi é sembrato che sia emerso un aspetto sul quale mi sembra opportuno ragionare: la distanza che nel tempo si é creata fra la popolazione e chi amministra la cosa pubblica.

Personalmente, ho sempre ritenuto che i partiti dovessero avere la funzione di interpretare la volontà di quella parte della cittadinanza che a ciascuno si riferiva perchè, poi, gli amministratori che ciascuna forza politica esprimeva, traducessero tale volontà in atti amministrativi che determinavano la qualità della vita cittadina. Ovviamente la traduzione della volontà in atti amministrativi non é da intendersi come “dictat” da parte del partito nei confronti degli amministratori. Ritengo, in sostanza che il partito debba essere la cinghia di trasmissione fra la società civile e l’amministrazione, nel nostro caso comunale e, ovviamente ciascuno dei due soggetti, seppur interconnessi, debba avere la massima autonomia.

Ora, nel caso di Chiusi, mi sembra che la cinghia abbia iniziato a funzionare in senso inverso, mi sembra, cioè, che non sia più il partito (parte della società) che raccoglie idee e aspettative della popolazione ma che sia chiamato a fare da cassa di risonanza delle iniziative degli amministratori con ciò creandosi un cortocircuito la cui conseguenza é quella che la società si trova a “subire” l’azione amministrativa senza poter minimamente intervenire nella sua elaborazione. Io credo invece che i partiti debbano ritornare alla loro funzione originaria ad elaborare idee, mediante la discussione e la partecipazione affinchè coloro che tramite il voto vengono investiti della funzione di amministratori traducano la loro visione della società locale in amministrazione.

Ora, se questo é vero e, per carità, non é detto che lo sia, in questi giorni nei quali inizia il dibattito in merito alla nuova amministrazione che da qui a poco andremo ad eleggere, mi domando, nel caso che una lista civica risultasse maggioritaria e quindi si assumesse la responsabilità di amministrare il comune, dopo i dibattiti e le discussioni della campagna elettorale, negli anni a venire, non avendo dietro un’organizzazione partitica, come potrà capire le esigenze della popolazione o per lo meno della maggioranza della stessa? Non è che si limiterà ad interpretare la volontà solo di quella parte che l’ha espressa nell’occasione del voto?