di Paolo Scattoni 

In un un recente articolo Marco Lorenzoni mi invia un rimprovero:

… finora sul Piano Strutturale ha detto cose sensate e giuste, rimarcandone il ritardo e certe incongruenze. Ma sono cose che posso dire anche io (…). Da Paolo che è urbanista e insegna all’Università mi aspetterei un “disegno di città”, una indicazione di come farla questa Chiusi non solo precisazioni procedurali…”.

Una risposta compiuta richiederebbe troppo spazio. Mi limiterò a porre il problema come faccio con gli studenti del primo anno, quelli che nulla sanno di urbanistica. Proietto una diapositiva con foto dall’alto del centro storico di Siena con sullo sfondo alcuni condomini degli anni ’70. La domanda retorica è questa “prendiamo una casa qualsiasi nel centro storico e di pari estensione dei condomini, quale delle due vale di più?”. La risposta è ovvia: quella del centro storico. La risposta alla seconda domanda è meno ovvia: “Com’è possibile che una casa costruita settecento anni fa senza l’aiuto di un architetto, inserita in un tessuto urbano che si è sviluppato senza il progetto di un urbanista, vale due/tre volte più di una costruita da poco su progetto di una architetto e in una zona “disegnata” da un urbanista?”

La robustezza e il valore della città medievale è data da una lunga azione collettiva di popolo organizzata attraverso le magistrature di cui quelle città si erano dotate. Oggi invece con tutta la “scienza” che abbiamo sviluppato l’urbanista non riesce a sostituirsi a quella complessità e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La città dunque non può essere “disegnata” ma aiutata a strutturarsi secondo le aspirazioni della comunità che ci vive. Per questo l’urbanista può avere un ruolo: di conoscenza e servizio.

Per tornare a Chiusi il mio contributo non può che essere di metodo, come lamenta Marco Lorenzoni, perché soltanto la partecipazione di tutti può determinarne la qualità della nostra città. Non è proprio quello che è stato fatto.