Solo un altro blog targato WordPress…per riflettere sui fatti della città
Gli spazi della politica si possono conquistare
Dal mito narrato da Platone nel Protagora sono passati 2398 anni, eppure siamo sempre li: per essere uomini, umani, occorre essere “animali politici” (mi si passerà, spero, la scorciatoia e la relativa sovrapposizione di Aristotele a Platone). L’essere politico è il gesto fondativo dell’essere umani: siamo umani perché politici, cioè dotati – tutti – di dike e di aidos, il rispetto e la giustizia. In altri termini, possiamo essere umani solo perché siamo capaci di mediazione (giustizia, dike) e accordo (rispetto, aidos) e, quindi, possiamo costruire ed abitare la polis. Con il cambio di dimensione imposto dalla nascita degli stati moderni, la delega prevale e quindi assistiamo alla formazione di un ceto separato e specializzato che, mentre media sui localismi che porta e rappresenta, tende anche a riprodursi in quanto tale. Di qui, la separazione tra deleganti e delegati. Il tutto finisce per assumere la logica di un mercato per cui il “prodotto” viene sottoposto ai “compratori” che possono accettarlo o sceglierne uno concorrente.
L’idea di partecipazione, a questo stadio, viene fortemente dimensionata in una direzione di valutazione sulla convenienza o meno del prodotto offerto. Cioè, ci si pronuncia una volta ogni cinque anni. L’ “opinione pubblica” che si forma specularmente alle élites politiche (di cui è humus e terreno di coltura), finisce per scomparire in quanto tale e diventa il sistema di lobbies e stakeholders conosciuto dalla politica contemporanea (il “capitalismo kantiano” di Evans, ad es.).
Al livello cittadino, però, conserviamo ancora la possibilità di fare politica, di partecipare. Il problema è determinare perché non siano in tanti gli interessati alla politica. La grave difficoltà che vedo è nella incapacità di generare narrazioni affascinanti (récits, direbbero i francesi): ridotta ad amministrazione di decisioni prese in un altrove indefinito e mitico (la crisi, i “poteri forti”, la leggina, il brunetta di turno, ecc.), la politica non riesce più a “fare presa”, non riesce più ad indicare percorsi e soprattutto finisce per duplicare lo schemino ragionieristico del conticino fine a se stesso. Guarda caso, se si esce dal quadro del “conticino”, si viene accusati di parlare di “massimi sistemi”: ma la nostra vita, non è un massimo sistema per ciascuno di noi? Paradossalmente, è solo la Lega ch’è capace di generare un racconto coerente: attaccata al suo federalismo, ne ha fatto bandiera di un localismo che, seppur bieco, consente di essere in pace con se stessi anche nel caso di evidenti storture e porcherie: è la coerenza del récit in cui si incastra la loro azione a rendere così sicuri i vari leghisti amministratori (e non perché siano “geneticamente modificati”). Cerchiamo di evitare di applicare loro le stesse categorie interpretative che applicavano i democristiani ai comunisti (trinariciuti, cervello all’ammasso ecc.).
Io capisco le osservazioni e le rivendicazioni di Gherardi e Marcantonini, ma non mi pare che si risolva molto con un giovanilismo che pare essere solo una concessione al motivo del giorno. Ad esempio, mi pare che due “vecchietti” come Scattoni e Fiorani stiano facendo rumore, sicuro molto più rumore di tanti giovani: voglio dire, giovane non è sinonimo di migliore o una garanzia di “grande apertura mentale”. Il rumore generato, però, non riesce ancora a concretizzarsi in “progetto” e quindi in prospettiva politica: non è il compito di un blog, ovvio, ma raccolgono semi e segnali sparsi di cui i partiti farebbero bene a tener conto (in questo senso, l’intervento di Carlo Giulietti è fortemente politico: più che nell’esortazione a fare politica, la sua politicità è nel mostrare uno spazio possibile, una strada da percorrere – seppure un po’ datata – e nel fornire un’indicazione di etica; e lo fa in un contesto che alcuni reputano “sfavorevole”. Quando dico che c’è altro che non “le bande”, nel PD, mi riferisco anche a persone come lui, (un amico che stimo e apprezzo molto).
Largo ai giovani, certo, ma anche largo a tutti: ognuno con il proprio entusiasmo e i propri acciacchi. L’importante è che se ne abbia la voglia, gli spazi per fare politica, fuori o dentro i partiti, ci si possono conquistare.
Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da lucianofiorani il 25 novembre 2010 alle 00:20, ed è archiviato come POLITICA. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Sia i commenti sia i ping sono disattivati. |
I commenti sono disattivati.
circa 14 anni fa
Quello che è accaduto in questi giorni è, nel bene e nel male, quello che ci si può aspettare dalla politica e da un partito. Un tentativo (grossolano) di pochi avventurieri di orientare l’opinione pubblica verso un disegno oscuro ai più e una reazione d’orgoglio del gruppo dirigente del Pd.
In questo clima non è facile per un ragazzo, privo dei necessari strumenti di lettura per queste vicende, appassionarsi alla politica. Serve, come dice Enzo che la politica ritrovi “narrazioni” accattivanti ma, penso io, che dimostri anche nei fatti apertura e disponibilità. E’ invece evidente che da troppo tempo, al di la dei retorici appelli alla partecipazione e all’impegno, si è adottata una ferrea pratica di escusione che Paolo ha sintetizzato in: meno siamo meglio stiamo. Perchè al fondo c’è da capire cosa si vuole. Se vogliamo un paese che per migliorare faccia leva su tutte le risorse che i suoi cittaini possono metter un campo si deve andare decisamente alla ricerca dei migliori e costruire strumenti e occasioni che favoriscano questo processo, se invece si vuol privilegiare carriere e gruppi di interesse ristretti si fa sattamente quello che è stato fatto in questi anni. Se la parte migliore e più aperta del Pd avrà la forza di invertire questa tendenza troverà sicuramente sul suo cammino insperati compagni di viaggio, altrimenti è evidente che chi parla in questi tempi di Lista civica di sinistra, appare a sempre più persone, saggio e ragionevole.