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Salviamo la vita agli eritrei detenuti in Libia
Nel gennaio scorso la Libera Università Pio II- LUBIT organizzò a Chiusi una conferenza di Don Mussie Zerai, un religioso che da anni si batte per la libertà in Eritrea e per i rifugiati che fuggono da un regime che ha militarizzato l’intera nazione.
Don Mussie ci ha raccontò allora delle drammatiche condizioni che questi ragazzi affrontano per arrivare in Europa.
Oggi Mussie è l’unico ponte informativo con 250 rifugiati che sono stati imprigionati nel carcere di Brak. A seguito dell’accordo fra il nostro governo e quello del dittatore libico Ghedaffi. Quell’accordo ci costa qualche miliardo di euro (la costruzione di un’autostrada) e permette di rimandare indietro molti che avrebbero diritto allo status di profugo o di rifugiato politico. Un trattato che risolve “un problema estetico” . Infatti gli immigrato che arrivano con le carrette del mare sono solo una minima parte di tutta l’immigrazione clandestina.
Ora ci sono 250 persone che rischiano la vita sia che rimangano in Libia o che vengano deportati in Eritrea
Se conoscete qualcuno che ha anche una minima possibilità di indurre il nostro governo ad agire FATEVI SENTIRE.
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Qui sotto un comunicato che don Mussie Zerai ha diffuso oggi alle 12:
La situazione va peggiorando, dal punto di vista della salute, da questa notte la metà della popolazione dei rifugiati detenuti a Brak – Sebah, stanno male hanno la diarrea, sospettano che sia l’acqua sporca, e gli utensili anche essi sporchi costretti ad usare, non ci sono detersivi o altro detergente per mantenere gli gene della popolazione nel carcere di Brak.
Dal punto di vista, di trattamenti non e cambiato nulla, le percosse continuano, le due persone prelevate l’altro ieri mattina alle 11.00 ora locale (perché avevano protestato NdR), non sono più tornati, questo aumenta la preoccupazione, si teme il peggio, dato che il capo della sicurezza del carcere di Brak, gli ha comunicati il 2 luglio sera, che in Libia paese libero non è consentito fare dimostrazioni, per cui loro hanno violato la legge dello stato e potrebbero rischiare la pena di morte. Nel caso vengano deportati verso il paese di origine, dovevano considerarlo come una grazia ricevuta dal Rais. I profughi ora temono di più per la loro sopravvivenza, ancor prima della deportazione. Le persone continuano a star male senza ricevere cure mediche. Condizioni di detenzione insopportabile, per il clima, spazi stretti, maltrattamenti, poco cibo e poca acqua. Umiliazione totale persone lasciate completamente privi di indumenti, condizioni degradanti della dignità umana, come nei lager dei nazi-fascisti e gulag Sovietici.
Rinnoviamo il nostro appello a tutte le istituzioni nazionali e internazionali,
SALVATE queste vite umane!
Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo Scattoni il 4 luglio 2010 alle 18:07, ed è archiviato come POLITICA. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Sia i commenti sia i ping sono disattivati. |
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circa 14 anni fa
è il prezzo dellla loro naznett , che disideravano gli etiopi glielo hanno dato ora piangono VISTO…….? L’ERITREA DIVENTERà PEGGIO DELLA SOMALIA
circa 14 anni fa
Possiamo anche scrivere un appello, ma probabilmente sarebbe poco tempestivo. Fortunatamente alcuni parlamentari si stanno muovendo. I cosiddetti ecodem hanno presentato una interrogazione (Sen Della Seta). Altre uinterrogazioni sono in via di presentazione. La manifestazione di domani presso l’ambasciata della Libia smuoverà, si spera, i media nazionali.
circa 14 anni fa
Mi sembra utile anche la lettura del manifesto di oggi che offre non pochi elementi di valutazione. Concordo comunque con chi vorrebbe trovare il testo di un appello per firmarlo.
circa 14 anni fa
Grazie per la segnalazione. Ecco il testo sul Manifesto di oggi.
Stefano Liberti
Respinti dall’Italia, rischiano la morte
«Fate intervenire la comunità internazionale. Temiamo per la nostra vita». La richiesta d’aiuto arriva dal centro di detenzione libico di Braq, dai 245 richiedenti asilo eritrei trasferiti manu militari da Misratah il 30 giugno. Un grido di disperazione per una situazione che, nelle parole degli stessi immigrati, «si fa di ora in ora più critica». Secondo le testimonianze raccolte per telefono direttamente dal centro, tra i 245 «reclusi» ci sarebbero una ventina di feriti, anche con lesioni gravi.
Nessun medico li ha visitati e alcuni starebbero cominciando a mostrare segni di infezioni. I 245 ragazzi, trasferiti qui come «punizione» per essersi rifiutati di riempire un modulo in tigrino (la lingua che si parla in Eritrea) propedeutico con ogni probabilità a un loro rimpatrio coatto, raccontano una quotidianità da incubo: «Siamo stipati in tre grandi vani, una ottantina per stanza, insieme ai feriti. Ogni tanto entrano le guardie e ci picchiano. Ci minacciano in continuazione. Ci dicono: non avete scelta, o vi deportiamo o vi ammazziamo». Uno di loro aggiunge preoccupato: «Hanno preso due di noi da venerdì e da allora non sappiamo che fine abbiano fatto».
Il centro, gestito attualmente dai reparti speciali dell’esercito, è già stato usato in passato come punto di transito per rimpatri collettivi di cittadini dell’Africa occidentale. Ed è proprio questo che temono i richiedenti asilo eritrei: la deportazione ad Asmara, con tutte le conseguenze che questo comporta (carcere, lavori forzati o addirittura condanna a morte per diserzione dal servizio militare, che in Eritrea ha una durata illimitata). «Il direttore del centro – continua il nostro interlocutore – ci ha detto che entro una settimana saremo a casa. Non riusciamo a capire se è una minaccia o se in effetti hanno deciso di rimpatriarci».
Tutto lascia pensare che la Libia stia effettivamente organizzando un rimpatrio di massa verso l’Eritrea, una prassi che aveva abbandonato dal 2006. Ed è per evitare questa eventualità che si stanno moltiplicando le pressioni su Tripoli. Ieri l’organizzazione statunitense Human rights watch ha emesso un comunicato piuttosto duro: «Le autorità libiche dovrebbero interrompere ogni sforzo per deportare un gruppo di 245 eritrei, alcuni dei quali severamente picchiati dalle guardie», si legge nel testo.
Ma non mancano anche le pressioni sul governo italiano, che nella vicenda ha una responsabilità morale e politica, poiché una buona parte di quei richiedenti asilo è stata rispedita indietro dall’Italia nel corso delle cosiddette operazioni di «respingimento in mare», attivate nel maggio 2009 come frutto della cooperazione italo-libica e in conseguenza alla firma del famoso Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 2008. Il Consiglio italiano dei rifugiati (Cir), che ha un ufficio in Libia e presta assistenza agli immigrati in altri centri si è appellato al presidente Giorgio Napolitano affinché si interessi personalmente alla vicenda. Alcuni deputati – sia dell’opposizione che della maggioranza – hanno esortato il governo a intervenire.
L’esecutivo ha risposto per bocca di Margherita Boniver, presidente del comitato Schengen e inviato speciale per le emergenze umanitarie. «Ci auguriamo – ha detto Boniver, che ha di recente condotto una missione in Libia e visitato alcuni centri – che la vicenda, prima di tutto umana, dei cittadini eritrei in territorio libico si concluda positivamente. Per questo obiettivo sono stati attivati tutti i canali utili».
Salvo poi respingere al mittente le accuse di corresponsabilità: «Le richieste polemiche indirizzate al governo italiano sono del tutto infondate e soprattutto antistoriche e controproducenti perché non rispettano la sovranità della Libia».
La sottosegretaria dimentica che molti di quei richiedenti asilo sono stati intercettati in mare dalla nostra marina militare e rimandati indietro in un paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, in aperta violazione con la legislazione umanitaria internazionale.
circa 14 anni fa
Per avere anche altre informazioni, mi sembra utile la lettura dell’articolo sul Manifesto di oggi (martedì 6 luglio)
circa 14 anni fa
A mio giudizio è urgente un appello presso il Governo italiano. Sarebbe utile che il prof. Scattoni provvedesse a redigere un breve ed incisivo testo da poter sottoscrivere anche mediante FB in modo da recapitarlo quando prima all’Ufficio Affari Esteri del Senato della Repubblica (e ad ogni altro ufficio competente).
A brevissimo dovrebbe essere reso disponibile il contributo che le nostre associazioni culturali (LUBiT e Amici di Betlemme di Chiusi (Si) hanno deciso di stanziare.