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Ceccobao: il politico senza “consapevolezza”?
di Enzo Sorbera
Qualche anno fa, su “Primapagina”, parlavo di berlusconismo e dalemismo come categorie del “teatro politico”, come “maschere”.
Di fatto, il problema si ripropone oggi, in cui la “morale” l’ethos del politico viene riproposto dall’articolo di Marco Fè.
Per citare un mio amatissimo maestro a cui rinvio, “L’homo democraticus, il cittadino politico, non è più quindi la persona che sovranamente partecipa dell’agire pubblico e decide autonomamente, ma si è ridotto tendenzialmente ad essere un pezzo di massa tendenzialmente manovrata, un individuo che crede di scegliere e invece viene scelto, crede di decidere ma invece è deciso, crede di contare ma invece è contato. Per me questo processo è particolarmente visibile in quella forma politica che viene dagli Stati Uniti e si cerca di esportare anche da noi: le primarie. In queste forme di consultazione è per me assai evidente, che ad essere chiamate in gioco non sono masse autodirette, ma masse eterodirette, e questo al di là dei risultati volta per volta prodotti dalle consulazioni, siano questi buoni o cattivi. Le primarie per me sono un procedimento che intrinsecamente va più nella direzione di un’alienazione politica che di una riappropriazione politica.” Mario Tronti,
http://www.giornaledifilosofia.net/public/scheda.php?id=103
Il problema è sempre il solito: è necessario, per Machiavelli, che non si badi all’eticità del mezzo: è il fine ultimo che conta, ed è l’etica di maggior grado ad essere importante. Lo stesso è in Montaigne, ma soprattutto in Max Weber: l’etica corrente ovvero “della convinzione” come la chiama lui, per il politico weberiano, non vale: il politico pratica un’etica “relativa”, che più che della bontà delle azioni, si occupa della bontà delle conseguenze. Se il mezzo essenziale della politica è l’esercizio della violenza (si rammenti che la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi – vedi von Clausewitz: Della guerra, citazione che qui rovescio), allora il compito del politico è l’uso di mezzi anche perversi che gli consentano di ottenere fini benefici: per Weber, il politico è un uomo perduto, che non può aspirare alla salvezza della sua anima perché ha fatto un patto col diavolo, scendendo a patti con la forza del potere ed è condannato a subire le conseguenze del suo patto.
Ovvio, Ceccobao non ha la statura del politico weberiano (infimo è il suo status), e però potrebbe essere il (più piccolo) politico di Ortega Y Gasset, che agisce “senza consapevolezza”, finendo per essere strumento pensando di essere il “manovratore”.
Cio nonostante, il problema che pone Marco Fè è reale: come dobbiamo considerare l’azione del politico contemporaneo?
Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da lucianofiorani il 21 gennaio 2011 alle 00:03, ed è archiviato come CULTURA, POLITICA. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Sia i commenti sia i ping sono disattivati. |
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circa 13 anni fa
Si ritorna sempre lì. E’ una questione culturale, con la quale, quelli della Lega sono in buona compagnia con tanti altri che della Lega non sono, ma che ragionano con quei metodi. Il risultato è lo stesso.
circa 13 anni fa
Che bisogna ripartire dal territorio mi pare di tutta evidenza, anche se le insidie non mancano. La deriva leghista è una di queste.
E tanto per essere espliciti; ” a casa nostra facciamo come ci pare” è il grimaldello che apre la strada con sbalorditiva efficacia al saccheggio del territorio.
circa 13 anni fa
Attenzione a non fare di tutt’erba un fascio. Nel momento in cui si assegna un ruolo come generale, ogni attore della scena politica finisce per esprimerlo, e, quindi, viene vanificata ogni dialettica possibile. Detto in parole povere: se io sono un cliens di un patronus (usiamo i termini romani, ch’è meglio), allora anche tu sei un cliente, magari “concorrente”. Quale politica potremmo mai aspettarci? E’ possibile, in queste condizioni e con questi scenari, la politica? In un precedente intervento di qualche mese fa, l’unico spiraglio che vedevo per la politica era il localismo, ma passò completamente inosservato
circa 13 anni fa
Sono molto affezionata alla definizione di politica che da Gianni in Lettera a un professoressa: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Definita così, non vedo come si possano separare i mezzi dai fini.
In una società democratica in cui deve essere centrale la funzione della cittadinanza, credo che un ceto come lo descrive Marco Fè sia proprio la negazione della politica. I politici sono oggi solo l’espressione dell’amministrazione del potere (spesso personale) e provengono da veri e propi giri al di fuori dei quali l’accesso alla pratica politica è praticamente negato. Al di la delle belle parole sul merito si privilegia il conformismo, il non prendere posizione, la fedeltà allo sponsor, tutte cose che sono la negazione dell’originalità e l’autonomia di pensiero necessarie a sortire insieme dai problemi. Sono meccanismi inefficaci oltre che immorali.
circa 13 anni fa
Precisazioni appropriate visti i tempi e le suscettibilità. Assicuro però Sorbera che parlando con alcune persone del suo scritto il senso percepito era quello giusto.
Nel titolo la parolina “ceccobao” è stata inserita, ovviamente, nel senso del prototipo e non della persona fisica. E anche dai commenti si capisce chiaramente che, in questo caso, si ragiona d’altro e non dell’assessore regionale
Insomma, nessuna malizia.
circa 13 anni fa
Un paio di precisazioni. Il Ceccobao di cui parlo non è ovviamente la persona Luca Ceccobao, ma l’icona del politico che lui ha rappresentato e che continua a rappresentare. In questo senso, risultano fuorvianti sia il titolo (redazionale) interrogativo sia alcuni termini utilizzati nel contesto dell’intervento. Lo status “infimo” è riferito al grado più basso (quello di sindaco) del nostro sistema politico amministrativo: nel quadro presentato, la sua figura si avvicina al concetto di Idealtypus weberiano, – in quanto figura dotata di potere di decisione -, ma non gli corrisponde.
In questo senso, quindi, “inconsapevole”: ho preso la scorciatoia di Ortega per sottolineare che la sua azione (come quella di qualunque altro sindaco) è comunque condizionata da eventi e circostanze che trascendono la sua potenza decisionale, ma a cui occorre rispondere, magari d’istinto, secondo le modalità del politico puro delineato appunto da Ortega y Gasset.
Quanto alla figura del “manovratore” essa è collegata all’idea di conducente, non certo a quella di “manipolatore”: sull’onestà di Ceccobao ho sempre scommesso e, finora, ho sempre vinto
circa 13 anni fa
come al solito…..mi sono dimenticato di chiudere il commento con…….anzi.
circa 13 anni fa
perfettamente d’accordo con il sig. Fiorani .
Uno può trovare “scuse” sull’ “aggredire il territorio”, ma quello che mi preoccupa sono le “iniziative scollegate”.
O siamo governati da una massa di incapaci, il che credo non sia, o seguono una strategia, qualunque essa sia. Scollegate per modo di dire, perchè un collegamento esiste: l’investimento di risorse che non portano alcun beneficio a Chiusi Città.
circa 13 anni fa
“La soluzione” (ai problemi di Chiusi, immagino), non c’è. Dobbiamo trovarla tutti insime.
Purtroppo veniamo da anni in cui troppi hanno pensato che “la soluzione” ce l’avesse in tasca il sindaco. Poi hanno scoperto che non era così e ora rimettere in moto il paese non è facile.
Resto dell’opinione che la prima cosa da fare sia definire cosa può diventare questa città e concentrare sforzi e risorse sull’obbiettivo. L’obbiettivo secondo me è fare di Chiusi un centro turistico e di servizi. Non partiamo da zero, ma non si può continuare a sciupare risorse in iniziative scollegate e ad aggredire il territorio.
circa 13 anni fa
tutte belle parole (con sincerità) che ,però, non offrono una soluzione.
circa 13 anni fa
Molto interessanti, almeno a mio avviso, i riferimenti che ci propone Sorbera.
Cruciale in questo contesto mi pare il riferimento a Weber per il passaggio ineludibile individuo(politico)-potere e perchè nel suo “Il lavoro intellettuale come professione” ci dice quanto c’è da sapere su chi vive “per” la politica e chi vive “di” politica. Ma dai tempi di Weber quelli “per” sono pressochè estinti, mentre quelli “di” sono ormai la quasi totalità della specie.
Vorrei però introdurre un altro riferimento oltre a quello del rapporto politico-potere (su questo anche Chomsky qualcosina ci ha detto) e cioè la deriva del sistema democratico. Perchè cominciano a risuonare profetiche le parole, a suo tempo irricevibili, di papa Wojtyla e di Luciano Canfora: la democrazia è destinata ad essere superata (il papa) e, la democrazia è rinviata ad altre epoche (il professore).