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Brava Oriana, ma…
Nonostante la mia quasi totale non condivisione delle posizioni e delle interpretazioni riguardanti moltissimi fatti di politica internazionale descritte da Oriana Fallaci, mi sono sentito costretto a segnalare una raccolta di suoi scritti avvenuta post mortem dal titolo “Saigon e così sia’’ comprendente un denso reportage dal Vietnam ai tempi della guerra da metà anni ’60 alla fine degli anni ’70. Pur essendo un estremo estimatore di Tiziano Terzani proprio per il suo modo di presentare e di descrivere cose , fatti, storia, avvenimenti riguardanti la cultura e la politica asiatiche e di saperle magistralmente inserire in un contesto più alto di considerazioni tali da trasportare il lettore in mondi “onnicomprensivi”, talvolta anche apparenti fantastici , ma per chi conosce un po’d’Asia riscontrati sempre con metodologie puntuali e precise, imprescindibili da ogni altra considerazione, gli scritti della Fallaci sul libro predetto (edito da Rizzoli ) hanno destato in me un vivo compiacimento, anche se le considerazioni politiche che ne escono tendono a ruotare attorno alle vicende personali degli intervistati, personaggi comuni e non, personaggi politici di ogni livello, prigionieri americani e torturatori vietnamiti, producendo una emotiva concezione che il lettore tende a formarsi sulla “in fondo condizione eugualitaria degli uomini contro’’.
Ciò che ne esce è forse l’interpretazione delle vicende umane e personali delle vittime e dei carnefici che assumono ad ogni piè sospinto –come si dice – un ruolo alternativo poichè gli stessi carnefici diventano vittime e viceversa. Le vicende degli ‘’ uomini contro ‘’ intervistati, si colorano di una comune mano di bianco che cancella tutto e che tutto accomuna, e talvolta quello che si perde nell’accostamento sono le ragioni oggettive di una guerra che pone tutti gli uomini alla stessa stregua. Da qui Oriana Fallaci parte per farne derivare considerazioni di natura eugualitaria fra assaliti ed assalitori, fra gente di ogni risma prezzolata e pagata per dare la morte e coloro che sottostanno ad un potere ferreo per la difesa ad oltranza delle loro ragioni. Quando esiste uno scontro titanico fra ideologie non si può rimanere alla contemplazione dei morti “che sono tutti euguali poiché sono morti’’, ma il senso della vicenda umana deve assumere una scelta di campo, quale essa sia, indipendentemente dalle ragioni individuali degli uomini , poiché è chiaro che il soldato nordvietnamita che per anni trasporta armi lungo la pista di Ho Chi Minh sente il peso della guerra, è lontano dalla famiglia e dai figli e non sa neppure se un giorno li rivedrà, patisce la fame e si nasconde come un topo per sfuggire alla morte portata dai B52 americani. Il sud Vietnamita invece è usato per fare carne da cannone dal proprio governo corrotto e torturatore, un governo che all’avanzare della resa dei conti si squaglia come neve al sole poiché era sostenuto solo dai dollari e da nient’altro. Il dolore della carne martoriata è lo stesso e nulla cambia nelle vicende individuali degli appartenenti ai due schieramenti. Coercitivi gli uni e torturatori gli altri, con la differenza che il Nord lottava ed imponeva il sacrificio al proprio popolo per la riunificazione del paese ancora dagli albori della dominazione coloniale francese mentre il sud era divenuto lo strumento di potenze straniere per i loro interessi egemonici in terra altrui.
Posto che la cultura imperante è sempre quella del vincitore della prova di forza (guerra), anche la posizione della Fallaci mi sembra funzionale ad un epoca -questa- che si dimentica troppo presto di ciò che è passato, mentre dalle vicende personali degli intervistati ne fa dipendere quell’egualitarismo delle comuni condizioni che alla fine diventa di natura ‘’morale’’ dei contendenti, snaturando il valore di ciò che è alla base del comportamento umano: l’idea. Ecco perché pur riconoscendo gli indiscutibili meriti professionali, le acutezze visive e la sensibilità spiccata per le vicende umane individuali, la rivisitazione della guerra del Vietnam del libro ”Saigon e così sia” rappresenta un angolo diverso di visione della “sporca guerra” che molti dovrebbero conoscere. Brava Oriana , ma Tiziano Terzani è un’altra cosa…….
Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da lucianofiorani il 27 luglio 2010 alle 09:37, ed è archiviato come CULTURA. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Sia i commenti sia i ping sono disattivati. |
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circa 14 anni fa
È bello poterlo immaginare seduto con le gambe incrociate, la schiena dritta. La barba lunga e bianca, i capelli legati. I vestiti candidi, che fanno un tutt’uno con l’uomo (…)
Per l’anniversario della scomparsa, un contributo del giornalista Nicola Lillo su Tiziano Terzani:
Tiziano Terzani: giornalismo e potere
circa 14 anni fa
Marco nel suo commento al libro della Fallaci dice ” …quando non era facile in Occidente raccontare il Vietnam in quel modo ”.
Forse codesta è una posizione oggi assunta dai più,( vedi il peroramento della Fallaci come caposaldo della civiltà Occidentale assunta dai settori politico-culturali della destra odierna e dal pdl) poichè è stata innalzata al settimo cielo da questi precisi settori della politica.Ovvio che è stata una grande giornalista ed una persona d’ indubbio valore. Quanto alla non facilità di quei tempi sul tema soprattutto di andare contro corrente io avrei dei dubbi( non parlo tanto della ”prima Fallaci” ben inteso ) ma di tutta una società composita occidentale che era formata strutturalmente e principalmente da una maggioranza silenziosa di conservatori imbevuti di americanismo anche se talvolta le piazze le pienava la sinistra reclamando la pace contro la guerra scatenata nel Sud Est Asiatico dagli Usa e dai loro alleati ( Germania, Australia, Nuova Zelanda, Thailandia ecc,ecc …. non dimentichiamolo che c’erano anche loro a dare una mano a sparare contro i vietcong ed il nord vietnam- questo tanto per ribadire un fatto per chi ha la memoria corta…. ).Il concetto della ”difficoltà” ad assumere posizioni come appaiono nel libro attuale,che senza dubbio è interessante ma sembra essere più un assemblaggio di articoli che una storia continua di una esperienza. Articoli ripescati appositamente per far passare nella mente dei lettori che l’etica e le condizioni della guerra erano le stesse in fondo da tutte e due le parti, con nulla di diverso. Ricordo che la Fallaci era stata sposata dalla sinistra di quel tempo ( ricordiamo i suoi scritti ed i suoi libri )e dire che non era facile parlare del Vietnam come dice Marco è cosa vera come era vero che era senz’altro più difficile andare contro l’establishment che perorare la sorte dei vietcong e questo in gran parte lo si deve al carattere indipendente della scrittrice toscana che ha acquistato valore-secondo me- proprio perchè andava contro corrente in maniera sapiente e con uno spirito critico scevro da eetiche di schieramento.L’edizione di questo libro da me acquistato solo per semplici curiosità cognitive dal momento che seguivo da anni l’evoluzione politico-militare di quelle situazioni non ha fatto altro che ribadire oltre alla curiosità di sentire anche ”bastian contrari”come è stata lei dopo anni, per capire meglio come si possa talvolta cambiare pur restando se stessi. Anche le ineluttabili verità che sono state scritte dalla storia e che sono oggetto- giustamente si di interpretazioni – ma debbono essere anche collocate in oggettive ed inattaccabili posizioni scevre dalla demagogia occidentale che se le fa proprie e le frantuma e le ricompone a seconda di ciò che torna più utile ai padroni di casa, anzi ”’del mondo”. Con tutte le diversità possibili basta dare uno sguardo all’Afganistan odierno ed al concetto di quella guerra che passa dentro la mente degli italiani che ascoltano le tv ed i giornali e per capire non occorre un grande sforzo;altro che Al Qaeda…… Carlo Sacco.
circa 14 anni fa
Non ho apprezzato la deriva politica della Fallaci dell’ultimo periodo, ma sul valore della giornalista-scrittrice c’è poco da dire.
circa 14 anni fa
Meglio, molto meglio, secondo me, “Niente e così sia” della stessa Fallaci. Lì la giornalista toscana racconta un anno di guerra , mi pare il 1968 o il ’69, con gli occhi della reporter non “accecati” o abbagliati dalla partigianeria, dall’appartenenza all’elite occidentale…
Brava Oriana, ma per quel libro lì… quando non era facile, in Occidente, raccontare il Vietnam in quel modo…